Categories: techeconomy
Tags: emozioni, affective computing, machine learning, fair society
Sono molti gli scrittori, i registi e i “fantasticatori” in genere che hanno immaginato macchine capaci di provare emozioni, eppure, nessuno è mai riuscito ad oggi a crearne uno. Ci riusciremo? Io credo di sì, e nei prossimi paragrafi proverò a dare un’idea di quanto bene possano simulare le emozioni i computer di oggi. Ogni tanto torna sui giornali la notizia di esperimenti riguardanti i cosiddetti “social robots” (qualcuno magari ricorderà i più appariscenti “sex robots“, in grado di simulare in tutto e per tutto una figura umana). E’ indubbio che queste ricerche restano lontane dalla nostra realtà, sia per motivi economici sia perché banalmente nessun nostro amico possiede un “social robot”. In realtà, lo studio e la modellizzazione delle emozioni da un punto di vista computazionale è ben più vasto e i campi applicativi molteplici, nonché di diretta influenza sulla nostra vita di tutti i giorni.
Con “affective computing” s’intende l’ambito dell’informatica contemporanea che tratta le emozioni umane. Nata ormai 23 anni fa’ da uno storico della ricercatrice statunitense Rosalind Picard, è oggi una disciplina in pieno sviluppo. Per capirne l’interesse scientifico, si può riflettere sul fatto che la psicologia è ormai quasi unanime nel ritenere le emozioni essenziali alla vita umana e indispensabili alla nostra sopravvivenza. Per dirla con Minsky, grande e discusso studioso del secolo passato, potete immaginare una macchina intelligente ma senza emozioni? Nell’ottica di un sistema di Artificial Intelligence completo – in gergo un’Intelligenza Artificiale Forte – non si può prescindere dal modellare quei processi storicamente ritenuti “irrazionali” dell’intelligenza umana. E, d’altra parte, l’affective computing di per sé ha aperto la strada a tecnologie totalmente nuove. Prima di parlare del futuro dell’affective computing, però, vorrei spendere due parole sui metodi alla base di questa disciplina; per il momento, se volete un’anticipazione “ghiotta” su come potrebbero essere utilizzate queste tecnologie nella vita quotidiana – e scommetto che lo saranno – potete pensare alle reactions di Facebook, alle playlist di Spotify o alle recommendations di Netflix, ma anche agli algoritmi di “smile detection” presenti in ogni fotocamera digitale o alla produzione di pubblicità emotiva.