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Il sole era già oltre le colline e le nuvole a sprazzi lasciavano che la luce della luna illuminasse la Terra. Il gelo di gennaio filtrava tra i vestiti di chi, incurante dell’umidità, usciva dopo giorni di pioggia. Simplicio entrò nel capanno dietro casa. Era giunto un messo da Torre del Gallo, non aveva lasciato detto nulla: solo un foglio, piegato in quattro, con le sue iniziali su un lato, GG. Presa in consegna la lettera, Simplicio uscì immediatamente per avvisarlo e portargli il messaggio.
Aprì la porta e la richiuse alle spalle. All’interno, il buio gli impediva di vedere quasi ogni cosa. La stanza era senza finestre, stretta, totalmente senza luce. “Gli piace così”, pensò Simplicio. Esitò, indeciso se proseguire a causa dell’oscurità. Una puzza di bruciato aleggiava nella stanza, simile a quella del cuoio incenerito. Simplicio fece un passo, poi lo chiamò a voce alta per attirare l’attenzione. Nessuna risposta. Poco male, succedeva spesso che si addormentasse quando lavorava così intensamente. Fece un altro passo, alla cieca, ma qualcosa trattenne il suo piede. Simplicio tirò avanti, cadde. Seguì un rumore di legni fracassati. Poi una luce, fortissima, un calore come un’enorme scintilla di un grande falò. Apparve la sua forma in fondo al capanno, china su un tavolo, immersa tra scatole nere. Poi fu solo caldo, caldo, tanto caldo e tanta luce. Il fuoco divampò improvvisamente e il legno cominciò a bruciare ovunque intorno. Simplicio si rese subito conto che lui era chino ed inerme sul tavolo.